Carne da accarezzare

villa gallipoli

 

Alcuni temporali

passano silenziosi,

ristagnano qui,

lividi e ingordi.

Portano via i bambini dal bagnasciuga

e adesso,

sono già altrove.

Alcuni temporali

passano così,

mentre corri a cercare riparo.

Passano così,

senza sciacquare la salsedine dalle spalle,

la sabbia dalle ginocchia.

Temporali che sfilano muti

senza neppure sfiorare l’asfalto.

Il contorno e dintorni.

Foto di Walter Valentini

Foto di Walter Valentini

 

Foto di Walter Valentini

Foto di Walter Valentini

 

Foto di Walter Valentini

Foto di Walter Valentini

 

Foto di Walter Valentini

Foto di Walter Valentini

 

Foto di Walter Valentini

Foto di Walter Valentini

Se ne sta immobile tracciando il contorno. Ogni riccio, ogni piega del cappotto.

Se ne sta in silenzio premendo sulla pelle. Incidendo il confine tra sé e tutto il resto.
Ha segnato la fine. Senza aver mai fatto altrettanto all’inizio.

Non era presente o passato.
Non era giusto o sbagliato.
È questa lunga e assopita fissità.

Occhi fissi. Fissi in altri occhi.
Chiodi fissi, altri divelti.
E vetri rotti, fiori straziati, crepe nell’asfalto.

In mezzo a tutto questo, si fermò.
Uscirono a buttare l’immondizia, un cane soddisfece i suoi bisogno, i lampioni si accesero di comune accordo.

La sciarpa srotolata, il libro caduto dalle mani.
Tornò a casa da un’altra strada.
Volse indietro i suoi passi.

Se ne andò in silenzio, misurando palmo palmo la distanza tra il cuore e il respiro.
Camminava dietro la sua ombra, ora davanti.

Ad ogni lampione le era accanto, sul muro di sassi. Poi le scivolava sotto i passi e via.

Creare e distruggere.
Non vedersi e vedersi scivolare via.
Aspettare di nuovo il sole.
Aspettare che anche l’ultimo lampione sia spento.

Essere di nuovo un confine tra sé e tutto il resto.

quando vivere diventa un peso.

Corse a chiudere la finestra.
Il temporale era arrivato.

Dal nero delle nubi a quello dell’asfalto si calavano funi di pioggia.

Un lenzuolo appeso si gonfiava di vento, tentando di fermarlo ma ottenendo solo la magra soddisfazione di averlo tenuto in pugno un frammento di secondo.

Un campicello orfano del proprio contadino agitava onde verdi, ora chiare ora scure, ora avanti ora indietro.

L’acqua cadeva su tutto.
E su tutto lasciava un fresco pulito.
Le macchine lucide, le strade spazzate, i passanti inzuppati nei loro maglioni.
Bagnati fino all’anima, bagnati fin dove il calore umano può arrivare.

E il nero del cielo specchiato sull’asfalto investì anche lei. Come inchiostro su carta assorbente.
Un nero di lutto, di tristezza invadente. Un nero di parole scritte o non scritte, dette o non dette.

Sentite o ignorate.

Da quelle nubi affacciarsi a vedere quanto è facile cadere giù.
Ma non farlo, non farlo sul serio.
Passeranno queste funi di pioggia, laveranno questo inchiostro dal cuore, il rimmel slavato.

Pioveva e non capivo il suo cuore di tenebra. Il ticchettio di gocce battenti sulla ringhiera mi assordivano le tempie. E ora aumentano, prorompenti come un ronzio. Sfacciate e inopportune: gettarsi senza reti di salvataggio su questo mondo, sciocchi trapezisti!

Scivolava via l’inchiostro, correndo fuori dalle parole. Inzuppate fin nel loro significato.
Ti si è inzuppato il cuore e non siamo stati pronti a ripararti da questo temporale.

Domenica

Domenica.

Respiro impegnato.

Pesantezza del cuore.

Avevo ragione, ci siamo scontrati all’angolo, ma tu mi hai preceduto.

Hai preceduto il mio passo, le mie parole, i miei pensieri, la mia calma nel salvarmi.

Mi hai scaraventato all’angolo, e con la mia inesistente opposizione,  hai posato le tue ruvide mani sui miei occhi.

Adesso mi sono ridata una spinta al cuore.

Il verde e il viola dei nostri giacchetti si sono fusi lasciando un’intera, ed un’unica, ombra nera.

Cosa m’importa, alla fine, di salvarmi?

Mi basta leggere la nostra immagine sull’asfalto.

[L.]